I GIOVEDI DEL MUSEO SPERIMENTALE Alberto Burri, proiezioni video: “Il Museo di città di Castello” e “Il Cretto di Gibellina”

11 - 18 Gennaio 1996

Il Grande Cretto di Gibellina è una grande opera d’arte ambientale realizzata da Alberto Burri. È situato sull’area dove un tempo sorgeva l’abitato di Gibellina. Un violento terremoto colpisce la valle del Belice nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, distruggendo completamente Gibellina. Di fronte all’impossibilità di ricostruire l’abitato sulle rovine, l’amministrazione cittadina decide di lasciare sul luogo una testimonianza della tragedia a perenne ricordo delle vittime e delle grandi sofferenze sopportate. L’incarico viene affidato ad Alberto Burri, che concepisce una versione amplificata dei suoi famosi Cretti.  La titanica impresa inizia nel 1985 e viene interrotta nel 1989.
Il Grande Cretto di Gibellina si presenta come un’enorme coltre di cemento bianco, che si dispiega sul fianco scosceso della montagna. Ha forma di un quadrilatero irregolare di circa 300×400 metri. Il suo aspetto ricorda un’immensa superficie ondulata, spaccata da profonde crepe e fenditure. L’effetto è dovuto alla sua particolare struttura a grandi blocchi di cemento, grosso modo quadrangolari, separati tra loro da profondi solchi. I blocchi misurano 10-20 metri di lato e sono alti circa 1,60 metri. I solchi misurano in larghezza circa 2-3 metri, e sono percorribili a piedi.
È fondamentale notare che il tracciato dei blocchi e delle fenditure ricalca sostanzialmente l’antico impianto viario, con i suoi isolati e le sue stradette. L’intenzione di Burri è stata, cioè, di restituire un’idea dell’antico abitato.
Il Grande Cretto di Gibellina è la più grande opera d’arte ambientale in Italia e una delle più importanti al mondo.
Nulla è comparabile per dimensioni e ricchezza di significati. Solo le immani sofferenze della gente del luogo riescono a far impallidire le sue proporzioni gigantesche. Sofferenze di cui, peraltro, l’opera di Burri costituisce il sacrario più emblematico. Visitando la Sicilia occidentale, farvi tappa è d’obbligo. Si consiglia di percorrere almeno in parte il tracciato delle strade, che si insinuano tra i blocchi. Solo così si percepisce pienamente quel senso di morte, che nasce dal ricordo della città distrutta.

 

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