ELISABETTA CATAMO Mostra fotografica, presentazione di Gabriella Dalesio

15 Maggio - 15 Giugno 1991

La tavola imbandita indica il colore della notte: neri sono i piatti in cui sono disposte come un gioco di prestigio in una ritualità antica le magie di un tempo sospeso. La voracità di colui/colei che vorrebbe mangiare si rarefà nella sospensione dei gesti. Invisibili sono le forze che tengono le cose, gli oggetti, o i loro simulacri: frammenti reinventati e tenuti fermi da fili invisibili per un loro movimento possibile. Si può entrare nella stanza allestita dalla Catamo solo in punta di piedi. La leggerezza sospende i movimenti, le relazioni interne delle cose si ribaltano in un ordine infinito in cui l’energia sottratta al movimento ritorna all’interno delle cose per generarle di nuovo: la farfalla bianca si posa per riiniziare il ciclo. Scriveva Valery che nell’universo di sensibilità la sensazione e la sua attesa sono in qualche modo reciproche, ma il gioco è doppio e specularmente asimmetrico, giocato sugli scatti e sugli scarti che la nostra percezione pone tra l’occhio e il mondo. L’energia corre sotterranea al limite del percepibile: il grado zero è vicino alla soglia del vuoto, attesa di azione dove tutto è possibile. Come si può misurare la durata di un intervallo quando l’instabilità ci sostiene? Ma essa è sigillata, fermata dentro scatole monocrome dove i simboli della vita o di una sessualità diffusa diventano dialoghi impossibili o fecondazioni di una vita che è solo energia di un microcosmo virtuale. I frammenti che nei lavori precedenti – nelle foto – componevano una scena dove le proporzioni erano ribaltate, parti di statue, piume, conchighie, ora chiudono lo spazio dell’immagine: il tempo diviene ornamento dell’estensione in un cortocircuito di senso. Tempo metafisico che testimonia l’estraneità dei soggetti a se stessi, segni di una vita passata protesi verso un movimento futuro. ll presente segna l’inquietudine del mondo organico della Catamo, se sono gusci vuoti di conchiglie che abitavano mari lontani, il rumore del movimento continua incessante permanendo come eco. Ogni oggetto da lei collocato nella microscheda delle scatole vive di un conflitto che si svolge in un altro luogo; contemporanei ad esso possiamo solo osservarlo dalla soglia, sospeso fra le maglie di minuscoli aculei protesi verso un nemico invisibile. I tre pesci, collocati in una prospettiva che ricorda gli spazi virtuali di Escher pongono domande antiche sdoppiando il luogo della presenza in mille infiniti punti rigettando il soggetto dentro di se nello spazio interno della sua percezione. Combinazioni e metamorfosi sono le leggi che ordinano lo straniamento e la sovversione dell’ordine reale di minuscoli oggetti impediti ad essere cose. Esiste nei lavori della Catamo la temporalità dello sguardo che guarda se stesso: ne emerge una serie infinita di traiettorie in cui il termine di misura è l’intervallo e la sospensione. I suoi lavori sono fatti con la materia del sogno e come il sogno l’analogia basa il suo senso nella ubiquità dei soggetti che vivono l’invisibilità delle loro energie. Se il nero o il blu – come “in fondo al mare” – sono netti e precisi, le diverse tonalità sono usate a piccole dosi e a contrasto, quasi sempre a segnare una scansione, un ritmo che conduca lo sguardo verso un altrove. Se in alcune opere come “Fecondazione”, è indicato dalle piume che segnano la possibilità di un connubio, in altre avvolgono come polvere di vetro uova simbolicamente connotate. In Amazzonia, una splendida piuma coloratissima – decorazione degli indigeni – ricorda antichi riti. Leggero e delicato è il suono del “Re della pioggia” come di piccole minuscole gocce, che, naturale corollario di questo mondo organico in cui i conflitti apparentemente tacciono come sospesi, si infrangono vibrando appena ci si avvicina. Il gioco ricomincia per un nuovo ciclo.

Gabriella Dalesio

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