LA CARNE DELL’ARTE Conferenza e presentazione del video di Alessandro Bertozzi

14 Marzo 2007

Sembra quasi un gioco di montaggio il video di Alessandro Bertozzi che “copia e incolla” pezzi di televendite d’arte contemporanea, fenomeno di riguardo nell’economia dell’arte e non solo. A prima vista, un’operazione ironica da fan del trash anche meno noto: quello che vive nelle periferie del territorio televisivo, che abita i palinsesti meno strutturati delle TV minori, ma che tuttavia ha assunto le caratteristiche di un genere, tanto da avere momenti di popolarità quando, non molti anni fa, Corrado Guzzanti fece la parodia di un venditore in particolare, ma coinvolgendo, collateralmente, i linguaggi esoterici-disincarnati del parlar d’arte. Trash che meglio rende la vocazione all’immediatezza, spesso censurata o costruita, del medium tuttora più discusso e conteso, la TV, alla quale si affidano contemporaneamente compiti diametralmente opposti: la costruzione della cittadinanza e il dover essere specchio delle trasformazioni del tessuto sociale, dei suoi processi culturali simbolici e quindi anche estetici di destrutturazione del tessuto sociale stesso, per l’emergere di moltitudini diasporiche e ibride, dissonanti del tutto con i vecchi modelli delle appartenenze culturali, politiche, religiose.

Bertozzi coglie insieme arte e TV in un unico impasto su cui vale la pena riflettere.  Decostruisce il valore dell’opera (e di conseguenza del corpo sociale che rappresenta) non tanto criticandone la tangenza col denaro, anzi sottolineando come l’equivalenza opera-denaro riporti l’opera alla sua carnalità, al di là delle cornici di senso della pratica interpretativa. I riferimenti alla storia, ai cataloghi pubblicati che il venditore usa spesso fare, altro non sono che ulteriori incarnazioni seducenti.  Se la critica aspira a valori più o meno da condividere, costruisce cioè un’ipotesi di cittadinanza, al contrario l’equivlenza col denaro riporta l’opera alla sua essenza di oggetto che si offre ad un soggetto desiderante, si confonde con i suoi processi personali di attribuzione del valore, fino ad essere una “bellezza”  realtiva e non universale.

Alcuni spunti, di diversa provenienza, possono essere utili per meglio sintonizzarci sul video di Bertozzi. Il primo spunto ci viene porpio dal titolo. La carne – non il corpo – dell’arte ci precipita immediatamente nell’esperienza più destrutturata. La contrapposizione carne – corpo, sulla scia delle analisi sul biopotere di Michel Foucault, richiama altre riflesssioni in campo flosofico e sociologico, come quelle più recenti diRoberto Esposito o di Alberto Abruzzese, per cui il corpo è un soggetto socialmente confinato mentre la carne è materia vivente senza confini. Il corpo è un soggetto confinato in un ruolo, la carne abita senza forma le espansioni comunicative e prostetiche.  Un secondo spunto è il medium televisivo, o meglio neotelevisivo, in quanto sempre più territorio di carnalizzazione dell’esperienza non circoscritta da corpi socialmente strutturati. Anche la TV generalista è pertanto l’ habitat dove è possibile sperimentare, ad esempio, alcune pratiche narrative che, pur essendo maturate nelle avanguardie e neoavanguardie artistiche, sono poco presenti nei modi di essere di agenzie culturali tradizionali di formazione come la scuola o il museo. La televendita  crea un rapporto diretto opera – fruitore: questo (anonimo), al di là della telecamera, osserva l’oggetto del desiderio ed è pronto a pagare per averlo. Il territorio televisivo è in grado così di creare per via esperienziale, non intenzionale, quanto Jeff Koons o Andres Serrano hanno già fatto da autori, e cioè una tangenza significativa tra arte e pornografia, tanto che la televendita scivola nel palinsesto ai confini con la pubblicità di linee telefoniche hard, per cui nelle operazioni di postproduzione, Bertozzi alle volte ha “ripulito” le registrazioni su cui lavorare il giorno dopo, dalle sovrapposizioni tra i due tipi di programmi.

Un altro spunto utile ci viene dalle riflessioni di Bruno Latour sui “fatticci”, cioè fatti e feticci insieme. I “fatticci” mettono in crisi la tradizionale differenza tra i fatti – quindi anche opere – costruiti intenzionalmente e i feticci,  che sono invece oggetti che esercitano il loro potere sul soggetto, e non viceversa. Secondo il fiolosofo e antropologo francese, la differenza è del tutto ideologica e fuorviante poiché il valore della cosa è sempre un’affermazione assiomatica conseguente ad un’operatività che si autogiustifica facendosi, e pertanto ciò che questa operatività produce ha un valore in quanto – culturalmente – vogliamo essere disponibili a riconoscerlo come tale. Di conseguenza anche l’oggetto realizzato intenzionalmente esercita il suo potere sul soggetto senza soluzione di continuità tra i due: né più né meno di quanto capita col feticcio.

 

Franco Speroni

 

Riferimenti bibliografici

 

Abruzzese A., Sacralizzazione della carne, scomunica dei corpi, in “Communitas”, n. 5 novembre 2005.

Esposito B., Bìos, Biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi, 2004.

Latour B., (1996), Il culto moderno dei fatticci, Roma, Meltemi, 2005

locandina

Comments are closed.